Giovanni Francesco Bellezia, nato a Torino il 26 novembre 1602 fu sindaco del capoluogo piemontese durante la peste del 1630, dimostrando abnegazione, coraggio e forte spirito di servizio.
Giovanni Bellezia divenne sindaco il 29 settembre 1629, non sapendo che dopo qualche mese sarebbe arrivato l’annus horribilis, ovvero il 1630, passato tristemente alla storia per l’epidemia di peste che flagellò l’Europa.
Storia di Giovanni Francesco Bellezia
Giovanni Bellezia nacque da una famiglia originaria di Lanzo, poi all’età di vent’anni si laureò in legge presso l’Università di Torino.
Ancora giovane, ereditò dal padre Gaspare l’elegante Villa Agliè nei pressi dell’attuale strada San Mauro, nota anche come Villa Morel, una delle poche rimanere ad essere rimaste immutate nel tempo.
ritratto di Giovanni Francesco Bellezia – BCS
Giovanni Bellezia utilizzò Villa Agliè sia come residenza alternativa a Torino che come rifugio durante la peste, tuttavia senza mai abbandonare la città.
Di sua proprietà fu anche cascina Bellezia nell’attuale strada del Portone 265 a Orbassano (TO), che poi andò in eredità alla figlia Anna Taddea, sposa di Giovanni Francesco di Piossasco, conte di None.
Bellezia si sposò nel 1620 con Margherita Lupo, figlia di un uditore della Camera, poi nel 1926 in secondo nozze con Bianca Cuneo, figlia di un decurione municipale.
Divenuto sindaco da qualche mese, nel 1630 la peste bubbonica colpì Torino causando 8.000 vittime su una popolazione di 25.000, oltre a un esodo che fece crollare gli abitanti a sole 3.000 unità.
Bellezia rimase a Torino anche quando fu abbandonata dalle alte cariche della città, compresi i Savoia che si rifugiarono rifugiatisi a Cherasco (CN) e, nonostante contrasse la peste affrontò emergenze come sciacallaggio o isteria verso presunti untori.
Anche Carlo Emanuele I di Savoia rimase a Torino, poi nel giugno 1630 a causa della guerra franco spagnola dovette raggiungere Saluzzo (CN) per fronteggiare l’invasione francese, tuttavia morì il 26 luglio a Savigliano per una forte febbre.
Peste del 1630
Secondo le stime, in Italia settentrionale tra il 1630-31 la peste bubbonica fece 1.100.000 vittime su una popolazione di circa 4.000.000, accanendosi specialmente sul Ducato di Milano.
La peste ebbe anche un forte eco letterario, come il celebre romanzo I promessi Sposi di Alessandro Manzoni, ambientato nel pieno dell’epidemia e il saggio del medesimo autore Storia della colonna infame.
Per comprendere meglio quali situazioni dovette affrontare il Bellezia, riportiamo brevemente ciò che accadde a Milano durante la peste bubbonica, narrato nel saggio del Manzoni Storia della colonna infame.
Il saggio narra del processo tenutosi a Milano nel 1630 contro due presunti untori, il commissario di sanità Guglielmo Piazza e il barbiere Gian Giacomo Mora.
I due, a causa della popolana Caterina Troccazzani Rosa furono accusati di contagio pestilenziale tramite sostanze misteriose.
Per mettere fine alle sofferenze subite durante i cruenti interrogatori dell’epoca, Guglielmo Piazza e Gian Giacomo Mora finirono per confessare ciò che non avevano fatto, così furono condannati a morte con il supplizio della ruota.
Poi venne distrutta la bottega del Mora e come monito, sulle macerie fu eretta la colonna infame, da cui prende nome la vicenda.
La colonna venne abbattuta solo il 25 agosto 1778, ormai divenuta testimonianza di infamia a carico di chi ingiustamente aveva condannato degli innocenti.
Oggi sul luogo della colonna sorge un palazzo con una targa commemorativa, opera dell’artista Ruggero Menegon, con cui il Comune di Milano riconosce l’ingiustizia subita da Gian Giacomo Mora.
La peste a Torino
Tra il 1600 e 1630 il Piemonte fu teatro di guerre a carattere sia politico che religioso, come quelle tra cattolici e valdesi che ebbe forti ripercussioni sia sociali che economiche.
Inoltre le stagioni avverse provocarono un forte calo di prodotti alimentari con conseguente carestia, tanto che Carlo Emanuele I emanò un editto per calmierare i prezzi e quindi, limitare la speculazione sui prodotti della terra.
Così migliaia di persone, a causa di fame e guerra abbandonarono le proprie case mendicando nei centri abitati, tra cui Torino che, nel 1630 contava circa 25.000 abitanti.
Le condizioni igieniche precarie dell’epoca, specialmente tra poveri e mendicanti, favorì la diffusione del morbo.
I primi segni della peste vi furono già nel 1929, come emerge dall’opera del barone torinese Gaudenzio Claretta Il municipio torinese ai tempi della pestilenza del 1630, pubblicata nel 1968.
Il primo caso di peste a Torino fu segnalato il 2 gennaio 1630, ovvero un calzolaio di nome Guglielmino o Franceschino Lupo, poi morto 12 giorni dopo.
L’epidemia si diffuse rapidamente nella provincia e poi nel cuneese, come Savigliano, Alba e Saluzzo, mentre a Torino raggiunse il culmine con il caldo estivo.
Giovanni Bellezia, invece di fuggire come buona parte delle alte cariche, compresi i Savoia, rimase a Torino e divenne il fulcro dell’organizzazione sia sanitaria che pubblica.
I primi provvedimenti furono la chiusura di diverse osterie, il divieto di ingresso per merci provenienti da territori colpiti dall’infezione, il rafforzamento di guardie armate alle porte di Torino.
I forestieri potevano entrare solo se provenienti da luoghi non colpiti dalla peste, inoltre dovevano esibire la bolletta di sanità, ovvero un certificato che attestasse la buona salute.
Furono allestiti lazzaretti con capanne per accogliere sia malati che sospetti, poi portati all’ospedale San Lazzaro o alla casina Maddalena, all’epoca oltre il Ponte Dora.
Furono anche adottare misure economiche a sostegno dei mendicati, poiché ricevettero il provvedimento di espulsione dalla città per evitare il contagio.
Inoltre c’era l’isteria contro i presunti untori, come il caso della giovane Margherita Torselina che, anche se descritta come semplice e superficiale, secondo l’accusa sarebbe stata un’untrice al soldo della guardia ducale Francesco Giugulier.
Il Giugulier, sebbene fosse anch’egli infetto fu sottoposto a processo e poi giustiziato in piazza Castello.
Giovanni Francesco Fiochetto
A fianco del sindaco Bellezia rimase il medico di corte Giovanni Francesco Fiocchetto, che poi pubblicò il Trattato della peste, et pestifero contagio di Torino, ristampato anche nel 1720 durante la peste nera di Marsiglia.
Fu Fiocchetto a ispezionare la salma della prima vittima torinese, tale Guglielmino o Franceschino Lupo, trovandovi i segni della peste bubbonica.
Così, oltre alle implorazioni ai santi furono adottate le prime misure sanitarie, come l’abitudine alla pulizia, all’epoca quasi inesistenti tra i più poveri che, già debilitati erano quindi vettori di contagio.
Poi accendere falò agli angoli delle strade, incidere o bruciare i bubboni, cospargere le monete di aceto, disinfettare ambienti con zolfo profumi acri, purificare l’aria con legni odorati come cipresso, rosmarino e pino oltre a regole su come mangiare e bere.
Fiocchetto era anche convinto dell’esistenza degli untori, definendoli ungitori delle porte, persone prive di coscienza o legate a patti con il demonio che ungevano porte o serrature delle case per diffondere il contagio.
Poi l’epidemia scemò nel novembre 1630 con l’arrivo del freddo, e Torino contò circa 8.000 morti su una popolazione di 25.000 persone.
La pace di Cherasco del 7 aprile 1631 decretò la fine della guerra per la successione del Ducato di Mantova, ristabilendo così un relativo equilibrio, tanto che dal settembre dello stesso anno Torino si riempì di nuove nascite.
Giovanni Bellezia rimase sempre a Torino, anche quando contrasse la peste, dimostrando coraggio, forti qualità morali e un profondo senso del dovere.
Il 7 giugno 1635 Bellezia fu nominato sia senatore che avvocato patrimoniale della Camera dei Conti e, durante la guerra civile piemontese del 1639-1642, in un periodo di forti incertezze, invece di abbandonare la Camera si avvalse della sua carica per proteggere l’indipendenza della magistratura.
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Bellezia fu anche nominato rappresentante del Ducato dei Savoia durante i negoziati della pace di Vestfalia del 1648, che pose fine alla guerra dei trent’anni.
Giovanni Francesco Bellezia si spense il 13 marzo 1672 a Torino e fu sepolto presso la chiesa barocca dei Santi Martiri, in via Garibaldi.
Torino ha ricordato il suo coraggioso sindaco intitolandogli una via nel 1807, poi nel 1866 fu posta una lapide presso la sua residenza, ovvero nell’attuale via Giovanni Bellezia 4.